sabato 8 maggio 2010

Paola Caridi: su Edward Said

I post di Paola Caridi nei quali ha citato o ha fatto riferimento a Edward Said:

L’etnografico Goodall
January 21st, 2010
http://invisiblearabs.com/?p=1488

Orientalism reloaded
September 23rd, 2009
http://invisiblearabs.com/?p=1258

Orientalismo per infanti

September 3rd, 2009
http://invisiblearabs.com/?p=1214

Orientalismo reloaded
June 12th, 2009
http://invisiblearabs.com/?p=1056

Stereotipi, bugie e videotape

December 9th, 2008
http://invisiblearabs.com/?p=644

L’occidentalismo di Jocelyn
December 2nd, 2008
http://invisiblearabs.com/?p=634

Doppi standard. Parola di Georges Corm

April 10th, 2008
http://invisiblearabs.com/?p=229

domenica 25 aprile 2010

Appunti Sullo stile tardo fra Said, Adorno e altri

di Marco Gatto


Musica, estetica, critica letteraria
nel saggio postumo dell'autore
di Orientalismo. Un j'accuse
contro gli intellettuali odierni?


Intorno al 1934, Theodor W. Adorno stava progettando un libro sull’esperienza musicale ed estetica di Beethoven. Negli appunti per la stesura, l’oggetto di analisi andava sempre più delineandosi come una riflessione sulla natura delle opere artistiche della vecchiaia. In esse – e dunque negli ultimi quartetti del compositore, nelle ultime sonate per pianoforte o nella magnifica Missa solemnis – Adorno leggeva il loro carattere corrugato, dilaniato, frastagliato e disarmonico. Vi leggeva anche una rivolta senile alla tradizione e all’imposizione dei canoni, alla norma assunta come crisma di un’affiliazione alla grande cultura riconosciuta: insomma, le opere tarde, per il filosofo, consegnano al lettore o all’ascoltatore una ribellione soggettiva nei confronti delle convenzioni, che le rende, per questo motivo, aggressive e inconciliate, contrastive e antiretoriche.

A raccogliere il suggerimento di Adorno, proprio negli ultimi mesi della sua vita, è stato un suo indiretto allievo (come amava definirsi), l’intellettuale arabo-americano Edward W. Said, scomparso nel 2003, noto al grande pubblico per il suo impegno a favore della causa palestinese. Said oggi è largamente studiato e tradotto in Italia, e ciò non può che rallegrarci. Il suo nome è legato agli studi postcoloniali, ma inizia a diffondersi anche in ambito filosofico. Professore alla Columbia University, intellettuale dichiaratamente “outsider”, vittima di un esilio che da condizione politica si fa risposta culturale, Said è stato soprattutto uno straordinario critico e teorico della letteratura, nonché un attento interprete della condizione musicale dell’Occidente. Non è un caso, pertanto, se le riflessioni contenute nel postumo Sullo stile tardo (Il Saggiatore, pp. 166, € 19,00) – importante tassello per la conoscenza dell’autore nel nostro Paese, di cui si attende ancora la traduzione di due fondamentali contributi come The World, the Text, and the Critic e Musical Elaborations – siano indirizzate in via prioritaria alla musica e alla letteratura.

Quel che interessa particolarmente all’autore di Orientalismo è la condizione di «esilio autoimposto» e volontario che diviene centrale nelle opere della maturità: grazie a questo salto dialettico che coinvolge la produzione artistica e la condizione corporea, la soggettività creatrice sembra illuminare il carattere storico della sua rivolta e inaugura una forma condivisa di autocoscienza. Il libro è allora una messa in evidenza di questa peculiarità in autori come Jean Genet, Thomas Mann. Giuseppe Tomasi di Lampedusa, in musicisti come Richard Strauss o Richard Wagner, in registi come Luchino Visconti. Ed è forse il saggio su Glenn Gould, l’ormai leggendario pianista canadese entrato nell’alveo dei grandi interpreti del secolo scorso, e purtroppo oggetto di un odierno feticismo che ne trascura la portata politica, a rappresentare potenzialmente il messaggio dell’intero libro. In Gould, Said pare scorgere un’allegoria stringente della possibilità soggettiva di fondare, attraverso la propria protesta, una proposta di critica alla realtà condivisa, che cerca il rapporto con l’Altro come fondamento di una vita democratica e civile. La presunta lontananza dell’intellettuale dal mondo è in realtà un modo per ritrovare un legame più diretto con la contingenza.

Non può non stupire la constatazione che va delineandosi pagina dopo pagina: il fatto che lo stesso Said sia in realtà un prodotto della sua “tardività” rispetto al mondo. In fondo, quanto possiamo sentirci eredi noi, in un tempo così profondamente segnato dal nichilismo e dall’individualismo, di un intellettuale che ha speso tutta la sua esistenza in una forma di impegno militante e di demistificazione pubblica del potere? Da questa prospettiva, dunque, Sullo stile tardo è forse un atto di accusa contro gli intellettuali di oggi, poco restii ad assumere la criticità come fondamento della loro pratica culturale, e dunque conniventi, responsabili, coinvolti, subordinati al potere. Leggere Said è un primo antidoto a quell’assenza di alternative e a quella sterilità di pensiero che ha contraddistinto l’ilare nichilismo dei postmoderni. E ciò pare non poco significativo se diamo uno sguardo alla situazione politica e culturale del nostro Paese.

Marco Gatto

(www.excursus.org, anno I, n. 4, novembre 2009)

http://www.excursus.org/poesia/GattoSaid.htm

giovedì 22 aprile 2010

New York e il Mistero di Napoli: Viaggio nel Mondo di Gramsci.

New York and the Mystery of Naples: A Journey through Gramsci’s World.
Italian title: New York e il Mistero di Napoli: Viaggio nel Mondo di Gramsci.
Producer: Giorgio Baratta
Distributor: Le Rose e i Quaderni, 1994.
Description:
The presentation of this documentary film provides English translations and subtitles. The film includes a presentation by Dario Fo and interviews with Giuseppe Fiori, Cornel West, Edward Said, and many others.

http://www.internationalgramscisociety.org/audio-video/index.html

http://www.internationalgramscisociety.org/audio-video/gramsci.ram

lunedì 12 aprile 2010

Intervento di Said a Mantova. 2001.

Said al Festival della Letteratura di Mantova.

http://www.rainews24.it/ran24/rubriche/incontri/autori/said.asp

venerdì 19 marzo 2010

La grande rimozione

Edward W. Said: letteratura e imperialismo

Tariq Ali

Edward Said è uno dei più importanti critici letterari del mondo di lingua inglese. Ha scritto molte opere e saggi di letteratura e il suo lavoro ha suscitato vivaci dibattiti sulla cultura, l'identità, la funzione della critica e la formazione della tradizione. Il suo capolavoro, Orientalismo, ha sancito in tutto il mondo la sua fama di critico nell'età dell'imperialismo.
Cultura e imperialismo (con sottotitolo Letteratura e consenso nel progetto coloniale dell'Occidente, Gamberetti, pagg. 420, lire 49.000) estende ulteriormente il raggio d'azione della sua critica. Si tratta di un'opera, in un certo senso, più sicura di sé e allo stesso tempo più rilassata di Orientalismo. Said scrive con grande sicurezza di letteratura inglese, dell'opera lirica italiana, della pax americana e delle tragedie che si sono rovesciate sul mondo post-coloniale. Una fiera polemica politica si accompagna, tranquillamente, con uno studio dettagliato e appassionato di argomenti d'estetica. Alle volte il libro può essere letto come il fluttuare di una presa di coscienza. Qua e là vi sono delle tensioni irrisolte, che riflettono le contraddizioni dello stesso Said nel momento in cui si trova a mediare tra il suo ruolo di critico e la sua funzione di intellettuale pubblico, di dissidente della democrazia. In generale Said riesce bene a gestire il tutto. Il suo messaggio è diretto. Nonostante i tentativi dei critici e dei teorici inglesi di creare una sfera culturale totalmente separata e isolata, non c'è - sostiene Said - alcuna muraglia cinese a dividere l'estetica dalla politica.
Uno dei capitoli che preferisco è quello intitolato "L'Impero al lavoro: l'Aida di Verdi". Un lavoro di decostruzione di quella famosa opera di Verdi. Un capolavoro non molto convincente che fu commissionato al maestro dal governo egiziano, nel 1869, per celebrare l'apertura del Canale di Suez. Egli descrive un primo sdegnato rifiuto dell'autore di scrivere su commissione, il suo successivo cambiamento d'opinione grazie ad una grande somma di denaro (150.000 franchi d'oro) e quindi l'opera stessa. L'Aida venne scritta per un pubblico egiziano che Verdi non conosceva e del quale non gli importava nulla e per Said si tratta di un "lavoro ibrido, profondamente impuro, che appartiene egualmente alla storia della cultura e a quella della dominazione d'oltremare. È un lavoro complesso, costruito attorno a disparità e a discrepanze che sono state ignorate o non approfondite, e che possono essere rilevate e descritte: si tratta di disparità e discrepanze assai interessanti in sé e per sé, che danno il senso delle sue discontinuità, delle sue anomalie, delle sue restrizioni e silenzi assai più di quanto facciano quelle analisi critiche che si focalizzano esclusivamente sulla cultura europea".
A differenza di alcuni dei suoi più rozzi seguaci, Edward Said non è mai semplicistico nelle sue conclusioni. La sua decostruzione delle novelle di Jane Austen, Mansfield Park in particolare, fa emergere come nessuna di quelle opere sia innocente. Come, al di là della loro forma letteraria, i romanzi vengano scritti in un preciso contesto socio-economico e politico. In questo caso sullo sfondo abbiamo la schiavitù nelle piantagioni delle Indie occidentali, grazie alla quale alcuni personaggi del romanzo possono condurre la loro vita agiata, ma della quale l'autore non prende mai nota se non per alcuni riferimenti fugaci alle piantagioni.
Questo però - insiste Said - non fa della J. Austen un "tirapiedi dell'imperialismo" e Mansfield Park non è in alcun modo responsabile della degradazione e della miseria che furono l'inevitabile corollario del colonialismo britannico. La Austen, nei suoi romanzi, riflette la realtà dell'Impero ma dopo averla in un certo senso sterilizzata. E diciamo questo senza nulla togliere alla sua brillante scrittura come anche a quella di Joseph Conrad o di Rudyard Kipling. Si tratta però di ribadire che i romanzi vanno collocati in un determinato contesto. Said non sostiene affatto che tali opere non vadano lette, dal momento che lui, chiaramente, le ama ma piuttosto che dobbiamo farlo con intelligenza e in modo critico. Ed è questa l'idea alla base di Cultura e imperialismo, che dà al libro la sua grande forza. Si tratta di un esempio concreto di quel che dovrebbe essere la critica.
Ma cosa dice Said sull'intellettuale pubblico?
Le due parole "intellettuale" e "pubblico" ci sono familiari, ma è importante soffermarci ancora sul loro significato. Mi riferisco ai dissidenti e agli eretici, a uomini e donne in tutti i paesi del mondo, che sfidano l'establishment, politico, accademico o letterario. Che di essi ce ne sia un gran bisogno è più che evidente. Lo scrittore britannico Bernard Shaw si chiedeva negli anni trenta del secolo scorso: "Il mondo sarebbe mai nato se il suo creatore avesse avuto paura di suscitare dei problemi? Creare la vita significa creare problemi. C'è un solo modo per evitare il conflitto: uccidere ogni cosa. I codardi, lo avrete notato, chiedono sempre in modo isterico che vengano uccisi coloro che suscitano problemi".
Si potrebbe obiettare che c'è sempre stata una tradizione di dissenso e che vi sono sempre stati degli intellettuali pubblici. Ciò è vero e possiamo risalire all'indietro seguendo questa discendenza dall'Antica Grecia e dai Romani attraverso l'acquedotto dell'Islam medioevale sino al Rinascimento e più tardi alla Riforma e all'Illuminismo. La Rivoluzione francese ebbe a tale proposito un impatto che scosse l'intera Europa e arrivò a ispirare anche una rivolta degli schiavi ad Haiti. Tuttavia nei primi venti anni del ventesimo secolo si è avuto un salto di qualità. L'Europa occidentale è passata attraverso una vera eruzione che ha portato alla nascita di uno strato sociale di intellettuali impegnati e dal carattere collettivamente vulcanico. Intellettuali indipendenti sia dalla Chiesa sia dallo Stato, che facevano riferimento a partiti politici che rappresentavano la classe operaia o, nelle colonie, a movimenti di liberazione nazionale impegnati a rovesciare il giogo imperialista. In genere si trattava di uomini e donne, alcuni con alle spalle studi universitari, altri autodidatti, che avevano deciso di scendere in campo con le loro intelligenze dalla parte degli oppressi e dei soggiogati. Il più importante successo di questi intellettuali fu senza dubbio la vittoria della Rivoluzione bolscevica a Pietrogrado nel 1917, un evento che ha plasmato il nostro secolo e polarizzato l'intellighentzia in tutto il mondo. Per Edward Said il 1917 è importante anche per un'altra ragione. È infatti l'anno della dichiarazione di Balfour, quando i britannici decisero di fare della Palestina "una patria per gli ebrei".
Ed è proprio l'esistenza di quest'altro Said - il critico radicale della politica estera e interna americana, l'intellettuale palestinese con una presenza pubblica vibrante e di alto profilo nel cuore dell'Impero, che non intende cedere alle sue lusinghe - a spiegare le grandi ostilità da lui suscitate. Ostilità che non sono confinate alla sola lobby filo-israeliana. Said è infatti emerso come un profondo oppositore degli accordi di Oslo. Egli pensa che Arafat abbia ceduto su tutto e che di questo passo il risultato finale sarà quello di una Palestina mutilata e tarmata. I clientes di Arafat gli hanno ordinato di tenere la bocca chiusa. Uno di loro, una volta grande amico di Said, ha dichiarato in pubblico: "E che diresti se io pretendessi di fare il critico letterario?". Nonostante tutto Said si è comunque conquistato una larga audience in Palestina. Le sue lezioni a Gerusalemme sono sempre affollate di studenti sia arabi sia ebrei. Said è sceso in campo a favore di un unico Stato israelo-palestinese nel quale la democrazia e i diritti umani vengano riconosciuti sia agli ebrei che ai non ebrei. Un messaggio che non è piaciuto a nessuna delle élite al potere nella regione.
L'evoluzione della intellighentzia in tutto il mondo coloniale venne influenzata dagli eventi di Pietrogrado e di Mosca del 1917. La Rivoluzione russa del resto fu guidata dai partiti Menscevico e Bolscevico, entrambi con delle leadership controllate da intellettuali. Da quei giorni in poi sarebbe stato impossibile per qualsiasi serio intellettuale, di qualunque tendenza, ignorare la politica.
Laddove la rivoluzione francese aveva dato fuoco alle polveri della ribellione ad Haiti, la Rivoluzione russa ebbe un impatto incredibile sulla formazione di una nuova intellighentzia in Cina, India, Europa, Sud-Africa, Brasile, Argentina, Messico, nel mondo arabo e, assai più di quanto si pensi, negli Stati Uniti d'America. La tradizione della Rivoluzione russa è stata un potente centro di attrazione per gli intellettuali di tutto il mondo. Una situazione che venne modificata solo in parte dalla morte di Lenin, l'espulsione di Trotzski e l'eliminazione di una gran parte degli intellettuali bolscevichi che avevano fatto la Rivoluzione.
1. È vero che vi fu una grande attività politica nel Bronx e fenomeni come la Partisan Review, che riflettevano preoccupazioni di carattere trotskista, ma il trionfo di Hitler in Germania respinse l'intellighentzia verso Stalin. Gli epici successi dell'Unione Sovietica a Kursk e Stalingrado nel corso della seconda guerra mondiale cementarono poi ulteriormente i rapporti tra l'intellighentzia radicale del Terzo mondo e Mosca.
Fu solo con la decolonizzazione e la guerra fredda che si aprì una nuova fase nella quale opporsi a Washington non significava necessariamente sostenere ad occhi chiusi Mosca. Quella piccola minoranza crebbe rapidamente durante l'esplosione del '68 che ebbe un carattere globale, influenzando non solo l'Europa ma anche il Mondo arabo, l'Asia del sud, il grosso dell'America Latina e gran parte dell'Africa. I combattenti della guerriglia angolana sentivano alla radio delle vittorie dei vietnamiti e prendevano coraggio. La speranza e un forte senso di ottimismo suscitati dalla Rivoluzione russa sono stati presenti sino agli anni Settanta e ad essi va ricondotta una vera e propria fioritura di teorie e idee con una grande diffusione di giornali critici e di opere radicali. Persino le riviste e i giornali ufficiali, grazie a quella radicalizzazione, furono spinti, anche se per breve tempo, ad aprire le loro pagine a voci normalmente ignorate.
L'internazionalismo di quel periodo creò una intellighentzia che fu anche, con poche eccezioni, profondamente internazionalista. La nostra unica patria fu la rivoluzione. Ovunque capitassimo ci mettevamo subito in contatto con coloro che in quel posto lottavano contro i loro oppressori. In questo senso l'idea tradizionale dell'esilio ricevette nuove sfumature a causa della nuova realtà politica. La difesa intransigente dei diritti palestinesi fatta da Edward Said, da Morningside Heights a New York, era scritta con la stessa forza come se fosse stata scritta in un caffè di Beirut. Con una differenza: se l'avesse scritta da Beirut sarebbe stato assai più improbabile che venisse pubblicata sul New York Times. Sono stati infatti la cattedra alla Columbia University e il successo di Orientalismo a far sì che Edward Said venisse accettato negli Stati Uniti come voce dei palestinesi costretti a pagare per i crimini del fascismo europeo, le complicità e compiacenze dei politici liberal-democratici.
Ci troviamo oggi in una fase di transizione ma non dobbiamo viverla in modo passivo. Dobbiamo reagire rispondendo con la lotta ad ogni oltraggio. E di questo Edward Said è un grande esempio con la sua scrittura inimitabile, la sua voce, la sua rabbia. Lo spirito di un intellettuale dissidente deve essere tale da poter resistere alle denigrazioni, alle persecuzioni e ad una relativa povertà. L'intellettuale dissidente deve essere pronto a vivere in una sorte di solitudine, non a livello umano o emotivo, ma nella sfera intellettuale. Capire tutto ciò non risolve certo il problema ma indubbiamente aiuta.
La nostra epoca, questi tempi nei quali viviamo, devono essere salvati dalla prigione del ventesimo secolo finito con la schiena spezzata. Eppure le gemme continuano ad aprirsi. Nuovi fiori sbocceranno. L'intera storia dell'umanità ci mostra che gli espropriati e i diseredati hanno sempre trovato il modo di resistere agli oppressori. Spesso, in passato, gli intellettuali si sono sorpresi della genialità della gente comune e l'hanno seguita con occhi ammirati. Nuove forma di oppressione danno vita a nuove forme di resistenza. Anche se sembra che i nostri nemici abbiano confiscato gran parte del mondo. Anche se i dannati della terra sono sempre trattati come animali e costretti a vivere di briciole, o a non vivere affatto. Tutto ciò significa che non dobbiamo mai tacere o attutire la sofferenza. Dobbiamo continuare a scrivere, parlare, lottare per il futuro, sicuri che un nuovo mondo verrà. Questo è il messaggio di ottimismo che Said lancia al mondo. Ci troviamo di fronte ad un libro che va letto e letto più volte e ogni volta il lettore vi scoprirà nuovi tesori.
(traduzione di Stefano Chiarini)

http://www.larivistadelmanifesto.it/archivio/4/4A20000314.html

domenica 21 febbraio 2010

Edward Said, Volume 1

Edward Said, Volume 1
Di Patrick Williams

By a wide measure of assent, Edward Said was one of the most important scholars examining society, politics and culture. A Palestinian-American, his life had been shaped by the cross-currents of race, globalization and nationalist violence. Said emerged as a leading figure in the dialogue between occidentalism and orientalism, making seminal contributions to our understanding of colonialism, postcolonialism and the responsibilities of criticism. He was one of the figures cited most frequently in the Social Science Citation Index, and one of the few, genuinely global, public intellectuals.

This exhaustive and unparalleled collection draws together the essential writings on Said's thought in a collection which any serious student of contemporary social thought will find indispensable. Planned and produced with a view to provide an accessible and reliable survey of all aspects of Said's voluminous writings, the collection is divided into four sections.

Section 1: Intellectuals and Critics: Positions and Polemics

Included here are reflections on some of the master-themes in Said's thought: the question of the displacement of the intellectual critic; the metaphysics of critical `homelessness', the challenges of exile; Said's relation to post-colonialism; and the important debates between Said, Aijaz Ahmad and Walzer. The challenging and controversial nature of many of Said's ideas are fully explored and the originality of his position on intellectual criticism and post-colonialism is properly acknowledged.

Section 2: Versions of Orientalism

Said's study of orientalism was arguably a break-through work, rapidly establishing him as a central cultural critic of modern times. Said's study was instrumental in opening up postcolonialism as an area of analysis. In this section the relevance of orientalism to the study of culture is examined, and the antinomies of orientalism are surveyed. Said was fully aware that he was writing about a contested subject when he published Orientalism. Here, the axes of contestation are brought together, and their power is compared and contrasted. The section includes discussions of the relevance of orientlaism to the study of Japan; Barthes and orientalism; China and orientalism; orientalism and the Third World; feminism, imperialism and orientalism; orientalism, the West and Islam and orientalism and technology.

Section 3: Cultural Forms, Disciplinary Boundaries

Said's interest in the politics of power and domination is richly explored in his thought on disciplinary boundaries. His work can be partly understood as an attack on certain forms of institutionalized epistemology, but always, with a conviction that the necessity of truth is the sine quo non of academic debate. This section provides readers with insights into the breadth and quality of Said's writings. It includes reflections on Said's Culture and Imperialism; nationalism, colonialism and post-colonialism; music, literature and emotion; Said and the study of history; Said, anthropology and ethnography; language and war; representations of domination through aesthetic forms; and multiculturalism, geography and postcolonial theory. What comes through most powerfully is the sheer expanse and inspired relevance of Said's thought to understanding the present and the relationship between history and the present.

Section 4: Theory and Politics

The questions that Said devoted himself to studying have very wide implications into the organization of self and society. Indeed, Said was an exemplary political writer, in as much as he never stints on his attempt to demonstrate the relevance of theory for practice. This section fully explores these aspects of Said's work. It includes discussions of colonialism and discrimination; the cult of theory; the politics of nonidentity; the power of the word; the relationship between Jameson and Said; Said and cultural relativism; Fanon and Said; Chomsku and Said; the relevance of Said's thought to understanding minority culture; Palestine and the betrayal of history; and the psychology of nationalism.

# Hardcover: 1656 pages
# Publisher: Sage Publications Ltd; Four-Volume Set edition (11 Dec 2000)
# Language English
# ISBN-10: 0761970541
# ISBN-13: 978-0761970545
# Product Dimensions: 25.4 x 15.8 x 11.4 cm
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# Amazon.co.uk Sales Rank: 4,034,164 in Books (See Bestsellers in Books)

http://books.google.it/books?id=g3UaQgAACAAJ&dq=edward+said&lr=&cd=31

http://www.amazon.co.uk/Edward-Masters-Modern-Social-Thought/dp/0761970541/ref=sr_1_1?ie=UTF8&s=books&qid=1266743987&sr=1-1

Libri su Edward Said

Edward Said
Di Bill Ashcroft,D. Pal S. Ahluwalia
http://books.google.it/books?id=mlG1scFTxkQC&printsec=frontcover&dq=edward+said&lr=&cd=2#v=onepage&q=&f=false

Edward Said: a critical introduction
Di Valerie Kennedy
http://books.google.it/books?id=EYMQ44XjIegC&printsec=frontcover&dq=edward+said&lr=&cd=8#v=onepage&q=&f=false

Edward Said: criticism and society
Di Abdirahman A. Hussein
http://books.google.it/books?id=9hxG7UmGCJsC&printsec=frontcover&dq=edward+said&lr=&cd=13#v=onepage&q=&f=false

Edward Said and the religious effects of culture
Di William D. Hart
http://books.google.it/books?id=0cgIHyRcYCMC&printsec=frontcover&dq=edward+said&lr=&cd=36#v=onepage&q=&f=false

Edward Said and the work of the critic: speaking truth to power
Di Paul A. Bové
http://books.google.it/books?id=KnJ94LFpow0C&printsec=frontcover&dq=edward+said&lr=&cd=33#v=onepage&q=&f=false

Edward Said and critical decolonization
Di Ferial Jabouri Ghazoul
http://books.google.it/books?id=Uf9_dbmJyQkC&printsec=frontcover&dq=edward+said&lr=&cd=44#v=onepage&q=&f=false

Libri di Edward Said

Culture and resistance: conversations with Edward W. Said
Di Edward W. Said,David Barsamian
http://books.google.it/books?id=rVxWOkkkFMwC&printsec=frontcover&dq=edward+said&cd=9#v=onepage&q=&f=false

The world, the text, and the critic
Di Edward W. Said
http://books.google.it/books?id=cwF60MVVGAsC&printsec=frontcover&dq=edward+said&lr=&cd=21#v=onepage&q=&f=false

Paradoxical citizenship: Edward Said
Di Edward W. Said
http://books.google.it/books?id=az2Py9U53EIC&printsec=frontcover&dq=edward+said&lr=&cd=40#v=onepage&q=&f=false

Music at the limits
Di Edward W. Said
http://books.google.it/books?id=8VH2p1saGcAC&printsec=frontcover&dq=edward+said&lr=&cd=57#v=onepage&q=&f=false

The question of Palestine
Di Edward W. Said
http://books.google.it/books?id=Pa89AAAAIAAJ&printsec=frontcover&dq=edward+said&lr=&cd=6#v=onepage&q=&f=false

Blaming the victims: spurious scholarship and the Palestinian question
Di Edward W. Said,Christopher Hitchens
http://books.google.it/books?id=wELzivMr_-cC&printsec=frontcover&dq=edward+said&lr=&cd=35#v=onepage&q=&f=false

Nationalism, colonialism, and literature
Di Terry Eagleton,Fredric Jameson,Edward W. Said,Field Day Theatre Company
http://books.google.it/books?id=PuZ9IzXcjo8C&printsec=frontcover&dq=edward+said&lr=&cd=38#v=onepage&q=&f=false

Acts of aggression: policing "rogue states"
Di Noam Chomsky,Edward W. Said
http://books.google.it/books?id=pNVNm7NMZoMC&printsec=frontcover&dq=edward+said&lr=&cd=24#v=onepage&q=&f=false

venerdì 19 febbraio 2010

PONERE PUNCTUM CONTRA PUNCTUM

LA SFIDA DI EDWARD W. SAID AL REALE


Il pensiero che pensa della verità dell'essere è,
in quanto pensiero, storico.

(M. Heidegger)



È possibile riassumere il tentativo effettuato da Edward W. Said di ridefinizione del ruolo dell’intellettuale in una serie di principi (che vertono tutti intorno alla fondamentale area semantica dell’esilio) che tornano frequentemente, come un Leitmotiv, lungo tutta la produzione saggistica del critico palestinese e che spiegano esemplarmente la figura e i riferimenti filosofici del nuovo umanista da lui prefigurato. Esso incarna l’impossibilità di salvaguardare l’impegno (che, solo provvisoriamente, chiamerò politico) senza accordare un’importanza fondamentale all’individuo e al suo punto di vista che, però, deve proiettare il proprio sé verso l’esterno: l’altro, il lettore, l’ascoltatore. Il percorso scelto per questa breve nota considera (per quanto possibile) l’intera riflessione di Said sul rapporto tra gli intellettuali e la realtà, ma discute, in particolare, gli assunti sui quali sono state scritte opere come Joseph Conrad e la finzione autobiografica [1966] (Milano, il Saggiatore, 2008), Dire la verità. Gli intellettuali e il potere [1994] (Milano, Feltrinelli, 1995) – fondamentale per il tentativo di definire quasi sinotticamente la funzione dell’intellettuale –, Nel segno dell’esilio. Riflessioni letture e altri saggi [2000] (Milano, Feltrinelli, 2008) – che raccoglie scritti brevi pubblicati tra il 1967 e il 1998, oltre ad alcuni inediti – e Umanesimo e critica democratica. Cinque lezioni [2003] (Milano, il Saggiatore, 2007) – un vero e proprio testamento teorico che conferma e sistematizza quarant’anni di riflessioni.[1]

Non a caso, sin dalle prime opere, Said propone una forma del reale, definita contrappuntistica, che contesta apertamente la voce data, il cantus firmus, l’idea pienamente gestibile di oggettività. Nella sua riflessione sulle lettere e gli scritti brevi di Joseph Conrad ridiscute i limiti ontologici della realtà: a suo dire il realismo includerebbe anche gli scritti di chi, come l’autore di Cuore di tenebra, libera troppo di ciò che è oscuro o imponderabile. La realtà non è soltanto ciò che chiunque può abitare con facilità: non è invece, questa, − si chiede Said − la rassicurazione della realtà? La contrapposizione è, insomma, tra una forma contrappuntistica, polifonica, del reale e una sua economia, diversa dall’immagine di esso che ciascuno di noi si costruisce. Il ritorno del realismo, prospettato di recente da qualcuno (in Italia, in particolare, da Romano Luperini), sarebbe, in quest’ottica, una formula che tradisce una certa debolezza, anche perché, come sostiene più volte Said, non esiste più consenso riguardo alla realtà oggettiva: non si tratterebbe d’altro che della proiezione intellettuale di un rigido modello di frustrazione che, alla lunga e amara esperienza di realtà e illusioni, sostituisce l’impressione fissa e accettabile (fatta e finita) del reale. Tale economia della realtà non contempla le conseguenze umane dei problemi storici e neanche le pieghe più controverse di un genere letterario tutt’altro che risolto e utilizzabile una volta per tutte.

Quel reale privo delle intrusioni del passato − secondo il Said che nel 1966 pubblica Joseph Conrad e la finzione autobiografica, rielaborazione della sua tesi di laurea su Conrad soltanto adesso tradotto in italiano − non rappresenta altro che la parte afferrabile del presente: realtà oggettiva che, non stabilendo alcuna relazione causale tra il passato e il presente, somiglia a un vero e proprio incubo. E, invece, bisognerebbe cercare l’alterazione magica del reale, quella direzione potenziale (heideggerianamente fatta tanto di existentia quanto di essentia), ignota − ma, nella declinazione conradiana, familiare e irresistibile allo stesso tempo − che non può essere sbrigativamente negata da una verità acquisita: nel Compagno segreto di Conrad Said trova l’esemplificazione perfetta del duplice lavorio della mente che, tra ciò che viene effettivamente raccontato (conversazione) e la sostanza delle preoccupazioni di chi scrive (sottoconversazione), risale coscientemente a un diverso livello dell’uomo e della realtà: quello in cui l’esercizio dell’arte rende viva la verità con un po’ di finzione e dove l’incrollabile differenziazione intellettuale (fatta anche di autoriflessione) sfida costantemente le aspettative. Quando non si pensa, sostiene Conrad, sparisce tutto e rimane solo la verità, sostanza sub-razionale ben distante dalla verità dell’essere che − come un’ombra oscura, sinistra e priva d’immagine − rende l’uomo insensibile nei confronti di ciò che sta fuori dalla realtà: il genere umano non sarebbe in grado di sopportare una così grande quantità di realtà e si accontenterebbe, dunque, di uno stato parziale della verità nel quale ogni cosa scompare.

Insieme a una risoluta presa di posizione contro lo status quo, inizia così a profilarsi nell’argomentazione di Said quell’attenzione necessaria verso l’altro, intesa sia come considerazione della differenza sia come relazione vitale con la sfera pubblica, che diventerà presto argomento essenziale della sua riflessione teorica. E non bisogna omettere che aprirsi al mondo esterno per Said significa, senz’altro, trasmettere una sensibilità critica (intesa come diffidenza rispetto a quanto viene trasmesso dogmaticamente) che implichi anche la scelta di un linguaggio chiaro, trasparente, ben riferito alle cose e ironico e che, soprattutto, ponga le sue basi su una ricostruzione dettagliata e paziente delle parole, delle strutture retoriche, delle peculiarità psicologiche e di tutto ciò che inerisce alla natura storica e secolare dell’oggetto (o, se si preferisce, del testo o del personaggio) agito.

L’intellettuale profilato da Said, non assuefatto al nuovo né svincolato dal vecchio, marginale ma, allo stesso tempo, ricettivo, incline ad affermare la propria identità e, tuttavia, esposto alle tenebre del vero e utopicamente disposto a vedere nel presente tanto i rami morti del passato quanto i semi del futuro, trova nell’esilio una condizione metaforica ideale che restituisce in pieno quell’irrequietezza che gli consente di vedere le cose nella loro superficialità e di resistere, così, a esse. Quello dell’intellettuale – sentinella così come cura dell’essere – è un canto ambiguo (e, proprio per questo, sommamente riconoscibile) che fa di chi lo pratica un uomo libero, un essere umano e non − dice ancora Said − un essere sociale. Il mondo storico e le circostanze da cui nessuno può prescindere sono frutto di quella rappresentazione radicata in ciò che Said definisce mondanità: condizione (non necessariamente contrapposta alla spiritualità) all’interno della quale l’intellettuale si pone come sorvegliante, dentro e fuori rispetto alle idee e ai valori in circolazione. Egli fa del suo requisito di marginalità un fattore di imprevedibilità che lo rende sempre disponibile all’innovazione e alla sperimentazione e gli consente di superare quella linea d’ombra che da un ritmo e una dimensione personale consente di dedurre − senza esoteriche astrazioni − la struttura umana assoluta: permette di desumere l’universale concreto (la Cosa) dall’umile realtà della tenebra. Nondimeno tale passaggio deve fruire di una predisposizione all’indagine che poeticamente scardina, pezzo per pezzo, l’idea semplificata di identità e che è alla base di ciò che lo studioso palestinese chiama umanesimo: quella del nuovo umanista è una pratica in continuo movimento, forma critica (vale a dire, aperta, democratica e secolare) che spitzerianamente si fonda sul potere che la mente umana ha di indagare se stessa e che oppone una risoluta resistenza alle idées reçues, ai luoghi comuni e alle facili generalizzazioni. Si tratta di una sensibilità che, senza alcuna garanzia di riuscita, esegue il reale, trae da un particolare insignificante l’intreccio complessivo che, alla fine, restituisce il significato.

La marginalità dell’intellettuale di Said, pur opponendosi con risolutezza al consenso e all’ortodossia, non deve compiacersi della sua posizione d’autorità: deve disporre, invece, della capacità di collocarsi come memoria pubblica e, quindi, ricordare ciò che è stato rimosso e riprendere le voci isolate (quelle degli oppressi e degli svantaggiati) cercando di rapportarle a processi più ampi che prevedono l’inclusione, all’interno dell’orizzonte conoscitivo che si sta sondando, di ambiti da esso ben distanti. Deve rinunciare, quindi, a quell’atteggiamento professionale (ma più precisamente professionalistico) che, secondo Said, costituisce la vera minaccia che incombe sugli intellettuali di tutto il mondo: si tratta di una disposizione legata all’eccesso di specializzazione, nonché al ricorso sistematico e spesso inutile a linguaggi tecnici, lo si è detto, poco comprensibili, che inibisce l’entusiasmo e il gusto della scoperta. L’incarnazione di tali peculiarità è rintracciabile nella figura del dilettante: esso agisce non sulla spinta del guadagno o del riconoscimento, ma per perseguire (con amore e semplicità, dice Said) un disegno di più vasto respiro che trascende i limiti insiti nel mero esercizio di una professione. I riferimenti morali del dilettante sono costituiti, nella sintesi proposta in Dire la verità, dalla responsabilità e dalla passione e in nessun caso dal profitto e dall’angusta specializzazione. Il funzionario o il dipendente mirano all’oggettività e sono asserviti al potere politico e non possono disporre di una propensione intellettuale che implichi l’adesione concreta e individuale a un codice etico al quale l’outsider non può non far riferimento: proprio perché egli non si appella a una professione ed esercita la sua critica – tecnica di disturbo che è propriamente la forma di resistenza cui Said fa più volte riferimento – da questo spazio personale, precario e, nondimeno, al cospetto costante di quella dimensione mondana cui necessariamente appartiene, ma dalla quale costantemente si discosta mediante l’individuazione della sua particolare prospettiva che lo avvicina, finalmente alla casa dell’essere. Il vero intellettuale sa che la mansione più difficile consiste nel rifiutare ogni esercizio acritico di adesione a quelli che Said definisce i nuovi dèi della tarda modernità: potere e autorità intesi come istituzioni rigide e minacciose alle quali si può far fronte soltanto adottando una prospettiva laica, vale a dire etica, coerente e universalista.

La pratica oppositiva attuata dall’intellettuale, allo stesso modo dell’identità di ciascuno di noi, è stile di vita più che mezzo per vivere ed è costituita da un insieme di correnti che ne fa attività in movimento, compito da eseguire più che luogo stabile: energia che, attraverso la pratica della lettura e della rilettura, della vita e della ri-vita, lega le esigenze del passato alla rilevanza del presente (existentia, diceva Heidegger, come actualitas). È, dunque, un’energia (pratica umanistica che attiene tanto all’interpretazione di un testo o di un brano musicale quanto alla vita di tutti i giorni) che nasce dall’esame attento delle istanze della storia e che fa dell’intellettuale un individuo coraggioso, che rifiuta ogni compromesso e che, in tal senso, si pone sul versante opposto rispetto al politico. Questa attività di ricostruzione e interpretazione (e Said, pur facendo spesso riferimento al ruolo intellettuale di letterati e musicisti, adotta criteri di inclusione che implicano per qualsiasi umanista preparazione, impegno e pazienza) comporta un’affinata sensibilità per il particolare, per il dettaglio nel quale è compreso il significato dell’insieme e consente di riportare l’esistenza dell’uomo alla sua sostanza (non oggettiva ma storica). È soltanto così che si può risalire all’orchestrazione di un testo: nel modo in cui è possibile stabilirne le relazioni organiche con altri testi che ne decretano la complessità o, se si preferisce, il rapporto con la società o, detto in un altro modo ancora, la quota mondana.

Il nuovo umanesimo di Said, scienza nuova con un forte senso della storia, o vichiana sapienza poetica che desume la filosofia del reale partendo dalla fine ricognizione filologica, che sa tessere i saperi insieme, che afferma l’identità tutelando – punctum contra punctum – le differenze, all’interno di ciò che anche Calvino chiamava l’enchâssement del reale, agisce – si direbbe – su un piano linguistico che si pone come dimora recuperata dell’essere esiliato. Ritrovandosi nella parola (e, perciò, nella vicinanza all’essere) e nell’atto di dire la verità al potere, l’umanista formula un vero e proprio atto d’accusa nei confronti del politico, della disumanità, della deformazione che nasce dal professionismo, della soggettività esagerata e si pone quale visione plurima e polifonica (anche perché aperta, potenziale, utopica) di un mondo sempre alle prese con le tante chiacchiere sulla verità e sulla storia.

(Alessandro Gaudio)

http://www.lunarionuovo.it/?q=node/73

venerdì 5 febbraio 2010

La letteratura europea vista dagli altri

http://books.google.it/books?id=Oc28jBxmS7IC&pg=PT91&lpg=PT91&dq=%22inventario+delle+tracce%22&source=bl&ots=ceyoBDeWrZ&sig=WLW-ZhY1FAPJBO0sEp3SsRuXaXU&hl=it&ei=D_9qS5u0G43__Ab7yM27Bg&sa=X&oi=book_result&ct=result&resnum=4&ved=0CA4Q6AEwAw#v=onepage&q=%22inventario%20delle%20tracce%22&f=false

giovedì 4 febbraio 2010

Gramsci ed Edward Said

Scritto da Redazione

tratto dal numero 9 di Diogene

Conosciamo davvero l’Oriente, oppure l’immagine che ne abbiamo è distorta dalle lenti dell’imperialismo culturale? È ciò che si chiede, partendo dalle riflessioni di Gramsci sull’egemonia, il critico letterario Edward Said (1935-2003) nel celebre saggio che ha rivoluzionato gli studi storici e politici sull’Oriente: Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente.
Said è diventato un intellettuale famoso e conosciuto a livello internazionale, uno dei pochi esempi della nuova figura dell’intellettuale globale, e questo grazie alla lucidità con cui ha svelato i meccanismi retorici attraverso i quali l’Occidente si rappresenta un Oriente barbaro e schiavo dell’arretratezza al fine di meglio giustificare la sua supposta superiorità e la legittimità delle politiche neocoloniali. Temi a cui ha dedicato, oltre ad Orientalismo, anche Cultura e Imperialismo e che affronta anche in chiave autobiografica in Sempre nel posto sbagliato, raccontando la sua vita di palestinese nato in un Protettorato britannico, educato alla cultura occidentale ed infine emigrato negli Stati Uniti. La critica di Said non si è fermata al livello del discorso storico-letterario, ma si è riversata in un appassionato impegno politico a sostegno dei palestinesi e a favore della pace fra Israele e Palestina grazie alla costituzione di due Stati indipendenti, di cui parla in Tra guerra e pace: ritorno in Palestina-Israele.
Quale deve essere allora il ruolo dell’intellettuale nel mondo globale? Said ha chiaramente una visione impegnata dell’intellettuale secondo cui, gramscianamente, la critica culturale diviene anche critica politica, come spiega in Dire la verità: gli intellettuali e il potere. E, da grande critico letterario, rivendica nelle ultime conferenze da lui tenute, raccolte postume in Umanesimo e critica democratica, la centralità dell’educazione umanistica nella formazione della coscienza critica e della sensibilità politica. Non però l’umanesimo dell’ingessato ed elitario canone, ma un umanesimo aperto sia alle storie di ibridazioni e scambi culturali che stanno all’origine di ogni tradizione “nazionale”, sia all’immaginazione di un futuro multiculturale al di là delle costrizioni dell’egemonia.

Due brani da Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, di E. W. Said (Feltrinelli, 2002).

La dimensione personale
Nei Quaderni del carcere Gramsci afferma: “L’inizio dell’elaborazione critica è la coscienza di quello che è realmente, cioè un conosci te stesso come prodotto del processo storico finora svoltosi che ha lasciato in te stesso un’infinità di tracce accolte senza beneficio d’inventario”.
Inspiegabilmente, l’unica traduzione in inglese dell’opera si ferma qui, laddove il testo italiano di Gramsci conclude aggiungendo: “Occorre fare inizialmente un tale inventario”. Gran parte del mio coinvolgimento personale nello scrivere Orientalismo deriva dalla consapevolezza di essere un “orientale”, in quanto nato e cresciuto in due colonie britanniche del Vicino Oriente. I miei studi, dapprima in queste colonie (Palestina ed Egitto), poi negli Stati Uniti, sono stati occidentali in tutto e per tutto, eppure tale precoce e radicata consapevolezza è persistita. Da molti punti di vista, questa ricerca sull’orientalismo rappresenta uno sforzo per redigere l’inventario delle tracce depositate in me, orientale, dalla cultura il cui predominio è stato un elemento così importante nella vita di tanti orientali. Per questo l’Oriente islamico non poteva non essere al centro della mia attenzione.
Se ciò che ho realizzato sia un buon esempio dell’inventario che Gramsci ci suggerisce di compilare, non sta a me dirlo, benché consideri importante aver avuto la consapevolezza di essermi proposto tale obiettivo. Lungo il cammino, con la severità e la lucidità di cui sono stato capace, ho tentato di serbare una coscienza critica, e di impiegare nel modo migliore quegli strumenti di indagine storica, umanistica e culturale di cui l’educazione mi ha reso un privilegiato possessore. Mai tuttavia ho perso il contatto con la realtà culturale e il coinvolgimento personale derivanti dal mio essere un “orientale”, nel senso che si è detto.


L’idea di egemonia
Gramsci ha proposto una preziosa distinzione teorica tra società civile e politica, la prima essendo costituita da associazioni spontanee, razionali e non coercitive come la famiglia, il sistema scolastico e i sindacati, la seconda da istituzioni i cui membri sono legati in modo non spontaneo e la cui funzione è connessa conforme di dominio entro la società (esercito, polizia, magistratura, ecc.).
La cultura opererebbe nell’ambito della società civile, e l’influenza di idee, istituzioni e singole persone dipenderebbe non dal dominio, ma da ciò che Gramsci chiama “consenso”. Allora, in ogni società non totalitaria, alcune forme culturali saranno preponderanti rispetto ad altre, alcune concezioni saranno più seguite, si realizzerà cioè lo spontaneo prevalere di determinati sistemi di idee che Gramsci chiama “egemonia”, concetto di fondamentale importanza per comprendere la vita culturale dell’Occidente industriale.
È proprio l’egemonia, o più precisamente il risultato dell’egemonia culturale, a dare all’orientalismo la durata e la forza su cui abbiamo or ora richiamato l’attenzione.
L’orientalismo non è lontano da ciò che Denys Hay ha chiamato “idea dell’Europa”, cioè la nozione collettiva tramite cui si identifica un “noi” europei in contrapposizione agli “altri” non europei; e in fondo si può dire che la principale componente della cultura europea è proprio ciò che ha reso egemone tale cultura sia nel proprio continente sia negli altri: l’idea dell’identità europea radicata in una superiorità rispetto agli altri popoli e alle altre culture.
A ciò si aggiunge l’egemonia delle idee europee sull’Oriente, ove è ribadita la superiorità europea sull’immobile tradizionalismo orientale, egemonia che ha per lo più impedito l’elaborazione e la diffusione di altre opinioni in proposito.

http://www.diogenemagazine.eu/home/index.php?option=com_content&view=article&id=121:gramsci-ed-edward-said&catid=10:cittadinanza&Itemid=105

mercoledì 3 febbraio 2010

Gramsci e Said dialogo sull' umanesimo

Repubblica — 23 febbraio 2005 pagina 1 sezione: NAPOLI
Nel suo saggio più celebre, "Orientalismo" (Feltrinelli), Edward Said ha riconosciuto che la categoria gramsciana di egemonia era stata indispensabile per demistificare un radicato concetto di Oriente, elaborato a uso e consumo dell' Occidente imperialista. In questi giorni, a Napoli si sta ragionando sui rapporti tra il grande critico letterario americano di origine palestinese e il nostro pensatore nato in Sardegna, maturato a Torino, imprigionato in giro per la penisola e morto nel 1937, appena quarantaseienne: per il suo doppio ruolo di dirigente comunista e di decifratore dei plurisecolari, irrisolti problemi italiani. Ieri ha preso il via "Umanesimo della convivenza. Said in dialogo con Gramsci": una serie di incontri e spettacoli promossi da Tropico Mediterraneo e coordinati dall' Università L' Orientale, con l' ausilio dell' Istituto italiano per gli studi filosofici e della Fondazione Morra. Fittissimo il calendario degli appuntamenti, che si protrarranno fino a venerdì. Oggi, alle 16, nella sede dell' Istituto in palazzo Serra di Cassano, si tiene una tavola rotonda su "Said, il Sud, il subalterno: Gramsci ora", alla quale prendono parte Marta Cariello, Silvana Carotenuto, Iain Chambers, Lidia Curti, Marina De Chiara, Lea Durante, Serena Guarracino, Mimmo Jervolino, Marie Hélène Laforest e Sara Marinelli. Spostandosi a palazzo dello Spagnolo, che ospita la Fondazione Morra, alle 21 è prevista la proiezione di "New York e il mistero di Napoli", opera di Giorgio Baratta: viaggio nel mondo di Gramsci raccontato da Dario Fo, presenti Stefano Chiarini, Gabriele Frasca e Guido Liguori. Domani l' appuntamento è per le 21, ancora alla Fondazione Morra: "Italia anno zero" di Roberto Paci Dalò mette insieme testi di Leopardi, Gramsci e Pasolini, sui quali successivamente s' intratterrà Maurizio Zanardi, con un intervento musicale del gruppo 'E Zezi di Pomigliano. Si chiude venerdì, alle 16,30, nella Cappella Pappacoda dell' Orientale, in largo Giusso: il rettore Pasquale Ciriello, Mario Agrimi, Aldo Masullo, Alberto Postigliola, Pasquale Voza, Clelia Tolentino e Giovanni Semeraro affronteranno l' impegnativo dibattito su "Gramsci e l' umanesimo della convivenza". Una raffica di occasioni che confermano quanto il magistero gramsciano sia oramai esercitato all' estero più che in patria. Da più di sessant' anni, gli spunti dei "Quaderni dal carcere" arricchiscono la riflessione della sinistra europea e d' oltreoceano più avvertita e hanno profondamente contribuito alla consapevolezza dei paesi del terzo mondo, usciti dal colonialismo. Osservazioni fulminanti e seminali, che hanno del miracoloso: innanzitutto per le condizioni in cui furono stese. In cella, con gli sparuti libri che i direttori dei penitenziari consentivano a Gramsci di ricevere dall' esterno. Nel secolo scorso, accadde solo a Henri Pirenne, che compose la sua "Storia d' Europa" in un campo di concentramento tedesco, durante la prima guerra mondiale; e a Erich Auerbach, il cui monumentale scorcio di trenta secoli di letteratura europea, "Mimesis", fu immaginato e realizzato in Turchia, dove si era rifugiato, per sfuggire ai nazisti. Con Machiavelli, Gramsci rimane l' autore italiano dovunque più letto e studiato, un analista che ha preconizzato il mondo globale nel quale viviamo: ritornare, per credere, a "Americanismo e fordismo". Un marxista convinto dell' imprescindibile connubio di teoria e prassi. Da sempre, la sinistra italiana - in testa Palmiro Togliatti, segretario del Pci fino al 1964 - tenta di storicizzarlo, provando a distinguere ciò che è vivo da ciò che è morto nella sua opera. Ma quanto Gramsci sostiene su intellettuali, letteratura, Mezzogiorno sta sul sentiero impervio che sbocca nel cambiamento radicale: non certo nel liberalismo, tantomeno nella socialdemocrazia. Non c' è da meravigliarsi che Gramsci abbia infiammato chi sulle strade dello sviluppo si sarebbe incamminato, cogliendovi i limiti di quel capitalismo con il quale si pretendeva che lo sviluppo stesso coincidesse. Marco Lombardi

- MARCO LOMBARDI

http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2005/02/23/gramsci-said-dialogo-sull-umanesimo.html