lunedì 14 settembre 2009

La crisi degli ebrei americani

Perché il supporto americano a Israele è più fanatico persino dei sentimenti antiarabi degli israeliani?

Edward Said: Internazionale 440, 8 giugno 2002

Qualche settimana fa a Washington si è svolta una rumorosa manifestazione filoisraeliana, più o meno nello stesso momento in cui era in corso l'assedio di Jenin. Hanno preso la parola varie persone tra cui senatori, esponenti di grandi organizzazioni ebraiche e altre celebrità. Tutti hanno espresso la loro incrollabile solidarietà a Israele.

Il governo degli Stati Uniti era rappresentato da Paul Wolfowitz, il numero due del ministero della Difesa, un falco di estrema destra che dallo scorso settembre parla di "farla finita" con paesi come l'Iraq. Wolfowitz, noto anche come un acceso sostenitore di Israele e fautore della linea dura, nel suo discorso ha fatto quel che hanno fatto tutti gli altri: ha celebrato Israele e gli ha espresso un sostegno totale e incondizionato. Ma inaspettatamente ha anche accennato di sfuggita alle "sofferenze dei palestinesi". È stato fischiato talmente forte e talmente a lungo che non ha potuto proseguire e ha dovuto allontanarsi dal palco.

La morale di quest'episodio è che oggi gli ebrei americani che manifestano pubblicamente il loro sostegno a Israele non tollerano che venga riconosciuta anche solo l'esistenza di un popolo palestinese, se non associandolo al terrorismo, alla violenza, al male e al fanatismo. Questo rifiuto di sentir parlare dell'esistenza di "un'altra parte" supera di gran lunga il fanatismo antiarabo degli ebrei israeliani. A giudicare dalla recente manifestazione contro la guerra a Tel Aviv - dove sono scese in piazza 60mila persone -, dal numero sempre più grande di riservisti che rifiutano di prestare servizio nei Territori e dalla protesta di alcuni intellettuali e associazioni, tra gli ebrei israeliani è in corso una dinamica politica. Non così negli Stati Uniti.

Un modo di pensare allucinato
Di recente il settimanale New York, che vende circa un milione di copie, ha pubblicato un dossier intitolato "La crisi degli ebrei americani". La tesi di fondo è che "a New York, come in Israele, esiste un problema di sopravvivenza". Questo modo di pensare quasi allucinato è il frutto di un incredibile autoisolamento in un mondo fantastico e mitologico, che scaturisce dall'educazione e da un nazionalismo che non ha pari al mondo. Fin dallo scoppio della seconda intifada, quasi due anni fa, i mass media americani e le principali organizzazioni ebraiche hanno dato spazio ad attacchi di ogni genere contro l'educazione islamica nel mondo arabo, in Pakistan e persino negli Stati Uniti. Hanno accusato le autorità islamiche, oltre che l'Autorità palestinese di Yasser Arafat, di predicare ai giovani l'odio verso l'America e Israele, le virtù del terrorismo suicida e l'elogio incondizionato del jihad.

In tutti questi incitamenti all'odio, la realtà del popolo palestinese non compare mai, e non si stabilisce alcun nesso tra l'animosità dei palestinesi e la loro inimicizia verso Israele, e quello che Israele va facendo ai palestinesi dal 1948. È come se un'intera storia di espropri, la distruzione di una società, i trentacinque anni di occupazione della Cisgiordania e di Gaza non contassero niente, dal momento che Israele è vittima della rabbia, dell'ostilità e dell'antisemitismo gratuito dei palestinesi. Questo è senza dubbio il risultato dell'istruzione distorta che viene propinata a milioni di adolescenti, cresciuti senza la minima consapevolezza del fatto che il popolo palestinese è stato completamente deumanizzato per un fine politico-ideologico: tenere alto il consenso nei confronti di Israele.

Va detto che gli attentati suicidi che hanno sfigurato e svilito la lotta dei palestinesi peggiorano ulteriormente le cose. Tutti i movimenti di liberazione della storia hanno sempre affermato di lottare per la vita e non per la morte. Perché il nostro dovrebbe fare eccezione? Quanto prima educheremo i nostri nemici sionisti e dimostreremo che la nostra resistenza offre coesistenza e pace, tanto meno potranno ammazzarci a piacimento e non parlare mai di noi se non come terroristi. Non sto dicendo che possiamo cambiare Sharon e Netanyahu. Dico che c'è un elettorato palestinese a cui occorre ricordare, con mezzi strategici e tattici, che la forza delle armi, i carri armati, le bombe umane e le ruspe, lungi dall'essere una soluzione, non fanno che creare altre illusioni e distorsioni da entrambe le parti.

Traduzione di Marina Astrologo

http://www.internazionale.it/firme/articolo.php?id=1365

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