Edward W. Said: letteratura e imperialismo
Tariq Ali
Edward Said è uno dei più importanti critici letterari del mondo di lingua inglese. Ha scritto molte opere e saggi di letteratura e il suo lavoro ha suscitato vivaci dibattiti sulla cultura, l'identità, la funzione della critica e la formazione della tradizione. Il suo capolavoro, Orientalismo, ha sancito in tutto il mondo la sua fama di critico nell'età dell'imperialismo.
Cultura e imperialismo (con sottotitolo Letteratura e consenso nel progetto coloniale dell'Occidente, Gamberetti, pagg. 420, lire 49.000) estende ulteriormente il raggio d'azione della sua critica. Si tratta di un'opera, in un certo senso, più sicura di sé e allo stesso tempo più rilassata di Orientalismo. Said scrive con grande sicurezza di letteratura inglese, dell'opera lirica italiana, della pax americana e delle tragedie che si sono rovesciate sul mondo post-coloniale. Una fiera polemica politica si accompagna, tranquillamente, con uno studio dettagliato e appassionato di argomenti d'estetica. Alle volte il libro può essere letto come il fluttuare di una presa di coscienza. Qua e là vi sono delle tensioni irrisolte, che riflettono le contraddizioni dello stesso Said nel momento in cui si trova a mediare tra il suo ruolo di critico e la sua funzione di intellettuale pubblico, di dissidente della democrazia. In generale Said riesce bene a gestire il tutto. Il suo messaggio è diretto. Nonostante i tentativi dei critici e dei teorici inglesi di creare una sfera culturale totalmente separata e isolata, non c'è - sostiene Said - alcuna muraglia cinese a dividere l'estetica dalla politica.
Uno dei capitoli che preferisco è quello intitolato "L'Impero al lavoro: l'Aida di Verdi". Un lavoro di decostruzione di quella famosa opera di Verdi. Un capolavoro non molto convincente che fu commissionato al maestro dal governo egiziano, nel 1869, per celebrare l'apertura del Canale di Suez. Egli descrive un primo sdegnato rifiuto dell'autore di scrivere su commissione, il suo successivo cambiamento d'opinione grazie ad una grande somma di denaro (150.000 franchi d'oro) e quindi l'opera stessa. L'Aida venne scritta per un pubblico egiziano che Verdi non conosceva e del quale non gli importava nulla e per Said si tratta di un "lavoro ibrido, profondamente impuro, che appartiene egualmente alla storia della cultura e a quella della dominazione d'oltremare. È un lavoro complesso, costruito attorno a disparità e a discrepanze che sono state ignorate o non approfondite, e che possono essere rilevate e descritte: si tratta di disparità e discrepanze assai interessanti in sé e per sé, che danno il senso delle sue discontinuità, delle sue anomalie, delle sue restrizioni e silenzi assai più di quanto facciano quelle analisi critiche che si focalizzano esclusivamente sulla cultura europea".
A differenza di alcuni dei suoi più rozzi seguaci, Edward Said non è mai semplicistico nelle sue conclusioni. La sua decostruzione delle novelle di Jane Austen, Mansfield Park in particolare, fa emergere come nessuna di quelle opere sia innocente. Come, al di là della loro forma letteraria, i romanzi vengano scritti in un preciso contesto socio-economico e politico. In questo caso sullo sfondo abbiamo la schiavitù nelle piantagioni delle Indie occidentali, grazie alla quale alcuni personaggi del romanzo possono condurre la loro vita agiata, ma della quale l'autore non prende mai nota se non per alcuni riferimenti fugaci alle piantagioni.
Questo però - insiste Said - non fa della J. Austen un "tirapiedi dell'imperialismo" e Mansfield Park non è in alcun modo responsabile della degradazione e della miseria che furono l'inevitabile corollario del colonialismo britannico. La Austen, nei suoi romanzi, riflette la realtà dell'Impero ma dopo averla in un certo senso sterilizzata. E diciamo questo senza nulla togliere alla sua brillante scrittura come anche a quella di Joseph Conrad o di Rudyard Kipling. Si tratta però di ribadire che i romanzi vanno collocati in un determinato contesto. Said non sostiene affatto che tali opere non vadano lette, dal momento che lui, chiaramente, le ama ma piuttosto che dobbiamo farlo con intelligenza e in modo critico. Ed è questa l'idea alla base di Cultura e imperialismo, che dà al libro la sua grande forza. Si tratta di un esempio concreto di quel che dovrebbe essere la critica.
Ma cosa dice Said sull'intellettuale pubblico?
Le due parole "intellettuale" e "pubblico" ci sono familiari, ma è importante soffermarci ancora sul loro significato. Mi riferisco ai dissidenti e agli eretici, a uomini e donne in tutti i paesi del mondo, che sfidano l'establishment, politico, accademico o letterario. Che di essi ce ne sia un gran bisogno è più che evidente. Lo scrittore britannico Bernard Shaw si chiedeva negli anni trenta del secolo scorso: "Il mondo sarebbe mai nato se il suo creatore avesse avuto paura di suscitare dei problemi? Creare la vita significa creare problemi. C'è un solo modo per evitare il conflitto: uccidere ogni cosa. I codardi, lo avrete notato, chiedono sempre in modo isterico che vengano uccisi coloro che suscitano problemi".
Si potrebbe obiettare che c'è sempre stata una tradizione di dissenso e che vi sono sempre stati degli intellettuali pubblici. Ciò è vero e possiamo risalire all'indietro seguendo questa discendenza dall'Antica Grecia e dai Romani attraverso l'acquedotto dell'Islam medioevale sino al Rinascimento e più tardi alla Riforma e all'Illuminismo. La Rivoluzione francese ebbe a tale proposito un impatto che scosse l'intera Europa e arrivò a ispirare anche una rivolta degli schiavi ad Haiti. Tuttavia nei primi venti anni del ventesimo secolo si è avuto un salto di qualità. L'Europa occidentale è passata attraverso una vera eruzione che ha portato alla nascita di uno strato sociale di intellettuali impegnati e dal carattere collettivamente vulcanico. Intellettuali indipendenti sia dalla Chiesa sia dallo Stato, che facevano riferimento a partiti politici che rappresentavano la classe operaia o, nelle colonie, a movimenti di liberazione nazionale impegnati a rovesciare il giogo imperialista. In genere si trattava di uomini e donne, alcuni con alle spalle studi universitari, altri autodidatti, che avevano deciso di scendere in campo con le loro intelligenze dalla parte degli oppressi e dei soggiogati. Il più importante successo di questi intellettuali fu senza dubbio la vittoria della Rivoluzione bolscevica a Pietrogrado nel 1917, un evento che ha plasmato il nostro secolo e polarizzato l'intellighentzia in tutto il mondo. Per Edward Said il 1917 è importante anche per un'altra ragione. È infatti l'anno della dichiarazione di Balfour, quando i britannici decisero di fare della Palestina "una patria per gli ebrei".
Ed è proprio l'esistenza di quest'altro Said - il critico radicale della politica estera e interna americana, l'intellettuale palestinese con una presenza pubblica vibrante e di alto profilo nel cuore dell'Impero, che non intende cedere alle sue lusinghe - a spiegare le grandi ostilità da lui suscitate. Ostilità che non sono confinate alla sola lobby filo-israeliana. Said è infatti emerso come un profondo oppositore degli accordi di Oslo. Egli pensa che Arafat abbia ceduto su tutto e che di questo passo il risultato finale sarà quello di una Palestina mutilata e tarmata. I clientes di Arafat gli hanno ordinato di tenere la bocca chiusa. Uno di loro, una volta grande amico di Said, ha dichiarato in pubblico: "E che diresti se io pretendessi di fare il critico letterario?". Nonostante tutto Said si è comunque conquistato una larga audience in Palestina. Le sue lezioni a Gerusalemme sono sempre affollate di studenti sia arabi sia ebrei. Said è sceso in campo a favore di un unico Stato israelo-palestinese nel quale la democrazia e i diritti umani vengano riconosciuti sia agli ebrei che ai non ebrei. Un messaggio che non è piaciuto a nessuna delle élite al potere nella regione.
L'evoluzione della intellighentzia in tutto il mondo coloniale venne influenzata dagli eventi di Pietrogrado e di Mosca del 1917. La Rivoluzione russa del resto fu guidata dai partiti Menscevico e Bolscevico, entrambi con delle leadership controllate da intellettuali. Da quei giorni in poi sarebbe stato impossibile per qualsiasi serio intellettuale, di qualunque tendenza, ignorare la politica.
Laddove la rivoluzione francese aveva dato fuoco alle polveri della ribellione ad Haiti, la Rivoluzione russa ebbe un impatto incredibile sulla formazione di una nuova intellighentzia in Cina, India, Europa, Sud-Africa, Brasile, Argentina, Messico, nel mondo arabo e, assai più di quanto si pensi, negli Stati Uniti d'America. La tradizione della Rivoluzione russa è stata un potente centro di attrazione per gli intellettuali di tutto il mondo. Una situazione che venne modificata solo in parte dalla morte di Lenin, l'espulsione di Trotzski e l'eliminazione di una gran parte degli intellettuali bolscevichi che avevano fatto la Rivoluzione.
1. È vero che vi fu una grande attività politica nel Bronx e fenomeni come la Partisan Review, che riflettevano preoccupazioni di carattere trotskista, ma il trionfo di Hitler in Germania respinse l'intellighentzia verso Stalin. Gli epici successi dell'Unione Sovietica a Kursk e Stalingrado nel corso della seconda guerra mondiale cementarono poi ulteriormente i rapporti tra l'intellighentzia radicale del Terzo mondo e Mosca.
Fu solo con la decolonizzazione e la guerra fredda che si aprì una nuova fase nella quale opporsi a Washington non significava necessariamente sostenere ad occhi chiusi Mosca. Quella piccola minoranza crebbe rapidamente durante l'esplosione del '68 che ebbe un carattere globale, influenzando non solo l'Europa ma anche il Mondo arabo, l'Asia del sud, il grosso dell'America Latina e gran parte dell'Africa. I combattenti della guerriglia angolana sentivano alla radio delle vittorie dei vietnamiti e prendevano coraggio. La speranza e un forte senso di ottimismo suscitati dalla Rivoluzione russa sono stati presenti sino agli anni Settanta e ad essi va ricondotta una vera e propria fioritura di teorie e idee con una grande diffusione di giornali critici e di opere radicali. Persino le riviste e i giornali ufficiali, grazie a quella radicalizzazione, furono spinti, anche se per breve tempo, ad aprire le loro pagine a voci normalmente ignorate.
L'internazionalismo di quel periodo creò una intellighentzia che fu anche, con poche eccezioni, profondamente internazionalista. La nostra unica patria fu la rivoluzione. Ovunque capitassimo ci mettevamo subito in contatto con coloro che in quel posto lottavano contro i loro oppressori. In questo senso l'idea tradizionale dell'esilio ricevette nuove sfumature a causa della nuova realtà politica. La difesa intransigente dei diritti palestinesi fatta da Edward Said, da Morningside Heights a New York, era scritta con la stessa forza come se fosse stata scritta in un caffè di Beirut. Con una differenza: se l'avesse scritta da Beirut sarebbe stato assai più improbabile che venisse pubblicata sul New York Times. Sono stati infatti la cattedra alla Columbia University e il successo di Orientalismo a far sì che Edward Said venisse accettato negli Stati Uniti come voce dei palestinesi costretti a pagare per i crimini del fascismo europeo, le complicità e compiacenze dei politici liberal-democratici.
Ci troviamo oggi in una fase di transizione ma non dobbiamo viverla in modo passivo. Dobbiamo reagire rispondendo con la lotta ad ogni oltraggio. E di questo Edward Said è un grande esempio con la sua scrittura inimitabile, la sua voce, la sua rabbia. Lo spirito di un intellettuale dissidente deve essere tale da poter resistere alle denigrazioni, alle persecuzioni e ad una relativa povertà. L'intellettuale dissidente deve essere pronto a vivere in una sorte di solitudine, non a livello umano o emotivo, ma nella sfera intellettuale. Capire tutto ciò non risolve certo il problema ma indubbiamente aiuta.
La nostra epoca, questi tempi nei quali viviamo, devono essere salvati dalla prigione del ventesimo secolo finito con la schiena spezzata. Eppure le gemme continuano ad aprirsi. Nuovi fiori sbocceranno. L'intera storia dell'umanità ci mostra che gli espropriati e i diseredati hanno sempre trovato il modo di resistere agli oppressori. Spesso, in passato, gli intellettuali si sono sorpresi della genialità della gente comune e l'hanno seguita con occhi ammirati. Nuove forma di oppressione danno vita a nuove forme di resistenza. Anche se sembra che i nostri nemici abbiano confiscato gran parte del mondo. Anche se i dannati della terra sono sempre trattati come animali e costretti a vivere di briciole, o a non vivere affatto. Tutto ciò significa che non dobbiamo mai tacere o attutire la sofferenza. Dobbiamo continuare a scrivere, parlare, lottare per il futuro, sicuri che un nuovo mondo verrà. Questo è il messaggio di ottimismo che Said lancia al mondo. Ci troviamo di fronte ad un libro che va letto e letto più volte e ogni volta il lettore vi scoprirà nuovi tesori.
(traduzione di Stefano Chiarini)
http://www.larivistadelmanifesto.it/archivio/4/4A20000314.html